Dieci litri di miscela

mercoledì 2 dicembre 2009


Martinsicuro ore 14.16 l’appuntamento è al solito posto, vicino allo Smaila’s

Monto la gabbia del paramotore, lentamente, seguendo scrupolosamente la checklist che mi sono stampato. Ho una tanica da dieci litri di miscela, ce la metto tutta; non so perché lo faccio, il vento è debole e sono molto incerto sul fatto di riuscire a decollare e quel po di peso in più nella mia testa potrebbe fare la differenza tra un decollo riuscito ed un decollo mancato…

Vado in spiaggia, il vento è ancora debole. Dubbi, paure, pensieri di vario genere, pervadono la mia mente mentre avvio il motore: decollare all’italiana con poco vento non è il mio forte, una bavetta di vento in più mi permetterebbe di decollare alla francese, ma al momento c’è calma piatta.

Apro la vela, oggi Enrico mi permette di provare una delle sue Jojowings, devo capire cosa cambia rispetto alla Gradient e se effettivamente mi agevola, in decollo soprattutto. Controllo ogni singolo cordino, la guardo con la faccia di chi sta per chiedere qualcosa ma non sa che cosa, vorrei parlarci, magari lei potrebbe far svanire le mie paure. Faccio uno schema mentale di quello che dovrò fare in decollo: corsa, gas a tutta, controllo della vela, ancora corsa, pizzicata ai freni e via… facile a dirsi, un po meno a farsi.
Mi imbrago, il vento è leggermente aumentato ma non abbastanza per decollare alla francese. Primo tentativo, la vela va su ma non corro abbastanza e abortisco. Seguo il suggerimento dei miei amici e decido di decollare alla francese. Tiro su la vela e inizio a dar gas che la vela non è ancora su, mi giro, spalanco il gas a tutta e corro… corro e son in aria!

E’ un’emozione indescrivibile, pochi secondi che valgono ore di volo, sentire questo megaventilatore spingerti con forza in aria grazie ad una vela che pochi secondi prima faceva a gara con le foglie a chi toccava prima terra. Quell’enorme agglomerato di alluminio e bulloni messi insieme da chissà quale pazzo stregone, quell’enorme frullatore sacrificato alla causa dei volatori disperati, quello che fino a pochi secondi prima ostacolava, con il suo peso, la tua corsa, ora ti spinge violentemente in aria, lasciandoti a bocca aperta. Le prime volte succede cosi, non ci capisci nulla, senti solo questa forza che ti lascia di stucco, la paura ti tenta e ti dice di mollare il gas, ma lo tieni aperto perché è questo che ti hanno insegnato. Pensi a mille cose… “ma no, non devi pensare, mona! Devi correre! Correre finchè non sei ben lontano da terra, solo allora puoi sistemarti nella selletta!” Ma in quei secondi pensi, altroché se pensi! Pensi se hai seguito tutta la procedura correttamente, pensi se tutto va per il verso giusto, pensi alla vela che nel frattempo se ne va per c...i suoi e se puoi recuperarla evitandoti cosi una seconda faticosissima corsa, pensi… si che ci pensi, che se qualcosa non va per il verso giusto sono cavoli amari!

Subito dopo questi interminabili secondi arriva la fase che io definisco dell’ebete. Non si sa come, hai staccato i piedi e stai salendo di quota, parzializzi un po il gas e ti sistemi nell’imbragatura. Guardi sotto, incredulo, nonostante i 1725 errori commessi in decollo ti accorgi che sei effettivamente in aria e non in paradiso: un sorriso da perfetto imbecille ti si stampa sul viso. Fossi a terra con una faccia del genere, diventeresti lo zimbello del paese, ma per tua fortuna per aria non ti vede nessuno!

Una volta in volo inizio a scorrazzare in lungo ed in largo in attesa che i miei amici decollino. Cerco di prendere confidenza con la nuova vela e nel frattempo analizzo al millimetro ogni prato della zona cercando di immaginare cosa dovrei fare per atterrarci. Vado a fare un giro dalle parti del molo, controllo che a casa mia non ci siano i ladri Smile ma soprattutto cerco LEI: lei che oggi è altrove, lei che si sarebbe commossa nel vedermi passare, lei che da un senso ad ogni cosa…
In pochi minuti sono alla foce del Tronto. Risalgo il fiume e inizio a salire di quota facendo dei 360 larghissimi, osservo il parco della Sentina e più lontano la pista di atterraggio della mia ditta:”quasi quasi…”. Dopo poco vedo un piper passare sotto di me Smile lo osservo sbigottito, non pensavo di essere cosi alto, guardo a ovest e mi rendo conto di esser ad altezza di Colonnella: mollo il gas e plano dolcemente fino ad alcuni metri dalla spiaggia, dove Enrico sta giocando. L’accordo è che saremmo andati a fare un giro fino a S. Benedetto, come vedo che attraversa il Tronto lo seguo a ruota. Via! Comincia l’avventura, un nuovo luogo da raggiungere, da scoprire, una nuova esperienza da vivere e gustare fino in fondo, come un buon vino d’annata!

Supero un po intimorito il confine tra Abruzzo e Marche, e mi piazzo a 30m per poter meglio studiare l’ambiente circostante: osservo ancora meglio il parco con la sua vegetazione incolta, i suoi casolari abbandonati e qualche persona a spasso qua e la. Tutto è nuovo, tutto è diverso, tutto ha qualcosa di particolare e dire che qui c’ho volato un paio di volte in elicottero, ma stavolta è diverso: sono io che guido io che decido dove e quando salire ma soprattutto non c’è quel maledetto plexiglass che mi isola dal mondo!

Un bambino mi osserva ed accenna un saluto: non posso rovinare il suo sogno, lo saluto a mia volta e faccio un 360 sopra di lui! “Non smettere di sognare ragazzo, qualunque sia il tuo sogno, non smettere mai di lottare per raggiungerlo!” – penso tra me e me.

Il mio giro prosegue in direzione nord, costeggiando il lungomare di S. Benedetto. Osservo minuziosamente tutto quello che mi si para di fronte, e il paragone va al volo libero, ai paesaggi visti in 5 anni di volo a vela, a tutto quello che ho vissuto volando tra le montagne: il paragone non tiene, sono due cose diverse, quello che fai con il motore è quasi impossibile con il libero!

Un giro del genere non può non arrivare al monumento al gabbiano Jonathan Livingstone situato all’imbocco del porto, ma non stavolta: stavolta decidiamo di accontentarci e di fermarci a pochi metri.
Faccio un paio di 360 per guardarmi intorno e poi punto la vela verso sud: si torna a casa! La gente continua ad osservarci stupita, manco facessimo chissà che cosa, forse per loro il volo è qualcosa di irrealizzabile o forse sono solo infastiditi dal rumore dei nostri motori… Il rumore… alla fine nemmeno lo sento più, concentrato come sono sul volo, e sul “nuovo mondo” che mi si para di fronte, cosi come non sento il freddo pungente dovuto alle due ore di volo. Tutto passa in secondo piano, e il tempo sembra fermarsi… “Il volo? E’ uno stato mentale, più che uno stato fisico” penso tra me e me… ma queste sono elucubrazioni da alcolisti anonimi, quando sei lassu devi essere con i piedi ben piantati per terra, altrimenti ti fai male!

Lo sguardo cade sullo stadio, prendo quota per vedere come va la partita, senza però allontanarmi di un metro dalla spiaggia: osservo le gradinate, i tifosi, fino a scorgere i giocatori, ma non capisco nulla di quello che sta succedendo. Il giorno dopo scoprirò di essere stato inquadrato a lungo durante la diretta della partita sambenedettese - fermana Smile

Torno a svolazzare sulla Sentina ed in breve sono sul lungomare di Martinsicuro. Ultimi accenni di wingover, qualche passaggio radente sull’atterraggio per prenderci le misure e dopo oltre 3 ore sono a terra. Una faccia da ebete stanco e soddisfatto mi si stampa in faccia, mentre metto via la mia attrezzatura. Parlo con Enrico del volo, di quello che ho visto, del decollo non proprio perfetto. Una controllata al motore e una veloce occhiata al serbatoio: ci sono rimasti solo 2 litri! Sono solo le 16.30 e inizia a far buio, chissà in primavera cosa succederà: mi dovrò fermare x strada a far benzina!

Penso… penso al nuovo mondo, quello che mi si è aperto con il paramotore, penso alle nuove avventure, ai tanti luoghi che vorrei vedere in volo, in primis casa dei miei, a quante volte da piccolo ho sognato di volare, penso… penso a loro: Lorenzo, Ubaldo, Gianni, Emanuele, i miei compagni di volo libero. E’ a loro che dedico questa mia avventura, la dedico a chi con me ha condiviso belle giornate di volo ma anche difficoltà, paure, errori. La dedico a loro perché se sono arrivato fin qui, lo devo anche e soprattutto a loro, e se ho un rammarico oggi è il fatto che non fossero in aria con me.

Non posso non menzionare Enrico, amico prima ancora che essere un ottimo costruttore. La passione per il volo gli si legge in faccia, i suoi consigli sono stati fondamentali.

Ciao

Mané