Fuori dal nido

martedì 30 marzo 2010

"...Ma i veri viaggiatori sono soltanto quelli
che partono per partire; cuori leggeri, simili a palloncini,
non si allontano mai dal proprio destino
e senza sapere perché, dicono ogni volta: andiamo!"

Questa poesia di Beaudelaire è quella che meglio di tutte racconta di me, del mio carattere, del mio modo un po zingaro di vivere: una persona perennemente in viaggio! Scordatevi per un attimo i viaggi avventurosi in giro per il mondo, si può viaggiare lo stesso rimanendo seduti davanti ad un pc spento: la nostra mente è quanto di più vasto e sconfinato esista! Molti di noi, quando raccontano di un viaggio, trascurano questo aspetto concentrandosi sull’aspetto “fisico”, ma un viaggio è prima di tutto uno stato mentale, la ricerca di qualcosa, la voglia di scoprire e di conoscere…
“Ehi Manè, guarda che non serve andare a Nettuno, attaccarsi un similfrullatore da venti chili e correre fino a morire di stenti su un prato, per queste cose hanno inventato gli strizzacervelli...” Ma no, sto parlando semplicemente di sensazioni ed emozioni, che poi sono il vero motore di ogni viaggio, quelle che ti spingono a partire! 


“Ma per andare dove? E con chi? Ma perché non se ne stai come tutti gli altri, tranquillo in casa o al mare?” hi hi hi mi fa sorridere quando me lo dicono :-))))) ma il mio spirito di zingaro non è cosa di facile comprensione, roba veramente da strizzacervelli, ma di quelli bravi! Ormai le persone che mi sono vicine mi assecondano e quando mi chiamano per invitarmi a cena e io gli rispondo che sono in culo al mondo non ci danno più peso e con una faccia un rassegnata pensano:”E’ Mané, è normale che sia in viaggio!”


Vedete, comincia tutto da quella maledetta (o benedetta, a seconda dei punti di vista) parola: ”andiamo!” “Manè, domenica c’è un raduno di paramotori a Nettuno, andiamo?” “E me lo chiedi? Andiamo!” botta e risposta secco tra Enrico e me dopo una giornata di volo.
Dire “andiamo” è semplice, forse troppo a volte, trasformare quella parola in qualcosa di concreto, è qualcosa di un po’ più complicato, che richiede un minimo di tempo e di preparazione: viaggiare non è semplicemente girare la chiave e partire! Ogni viaggio che si rispetti va affrontato con metodo, e di solito c’è bisogno di un minimo di preparazione, fisica e meccanica. Stendiamo un velo impietoso sulla preparazione fisica, ma quella meccanica no, quella va fatta e con molta attenzione. Tutto inizia da quel momento, quando afferro una chiave inglese e inizio a metter mano al mezzo per prepararlo alla nuova avventura. Sia chiaro: non sempre questo lavoro è utile anzi, a volte è controproducente, ma a me piace dedicare del tempo alla cura del mezzo, coccolarlo, cercare di conoscerlo cambiando questo o quel pezzo; Mi aiuta a concentrarmi sulle difficoltà che dovrò affrontare e mi rilassa. 


Dopo 15 ore di volo, lo Sky 100 gira che è una meraviglia, solo i tubi della benzina sono un po induriti. Enrico mi invita a cambiarli nella sua officina, e io ovviamente non me lo faccio ripetere due volte. Ora: chi mi conosce sa che la mia mano è ferma quanto una lavatrice mentre fa la centrifuga. Un collaboratore di Enrico se ne accorge subito, e vieni li a dirmi come fare il lavoro… ma poi finisce con fare tutto lui(grazie!)! Io lo osservo un po’ invidioso, ha una manualità ed una precisione che la mia mano in piena centrifuga se le sogna la notte! Controllo ogni singola vite, ma con la testa sono già là, sulla costa tirrena, a svolazzare tra boschi e spiagge sconfinate! Enrico mi rimprovera per alcune fascette un po troppo strette, cosa che nemmeno il più bravo dei meccanici avrebbe notato; li per li ci rimango male, ma è fatto cosi, i suoi motori devono girare come dice lui, altrimenti non ha pace. Pensare che qualche settimana fa voleva cambiare in spiaggia la lana di roccia di un suo vecchio motore perché a suo dire, faceva troppo casino: è matto quest’uomo! 


Torno a casa, percorrendo la val Tesino dove da li a due giorni gli amici delle Forchette Volanti faranno un bel giro in fuoristrada. Penso alla polvere che solleveranno, fango pietre sassi, e poi la discesa “l’ascensore” fatta per la prima volta in salita: chissà come si divertiranno! Ma io no, io sarò a Nettuno a combattere una mia personale battaglia, quella di uscire finalmente dal “nido” di Martinsicuro e di confrontarmi con altri volatori… non sarà facile!
Una manica a vento bella dritta ci accoglie nell’avio superficie di Nettuno:”bene – penso tra me e me – potrò decollare alla francese, e questo mi agevolerà non poco”. Piccoli ultraleggeri spiccano il volo mentre i paracadutisti vengono giù come foglie in autunno: ma quanti ne sono?


Scarichiamo l’attrezzatura mentre il vento continua a soffiare costante. “Sarà una bella giornata di volo, i presupposti ci sono tutti” penso tra me e me, mentre mi avvio in zona decollo. Ultimi controlli, sfiato, tubi benzina, cordino tensionamento gabbia, viti sparse qua e la, poi… contatto: lo Sky inizia a ruggire! Mi fermo qualche istante, il motore va sempre ascoltato, devi sentirlo, lui ti parla, se ha qualcosa che non va lui te lo dice, devi solo fermarti ad ascoltarlo! “Pronto per una nuova avventura? Dai, portami tra cielo e nuvole!”.
Arriva il momento “x”, quello dove devi fare i conti con te stesso e le tue paure, quello dove devi mettercela tutta e fare la differenza, quel momento dove, se sbagli son dolori: il decollo! Già, il decollo, questo sconosciuto! Decollo, il momento in cui l’uomo si trasforma e diventa una creatura strana, un ibrido, un surrogato di volatore, mezzo uomo mezzo uccello completamente pirla! Il decollo, una serie di semplici procedure che vanno eseguite secondo un ordine ben preciso: corsa, gas a tutta, ancora corsa e quando il vela “vola” piccolo colpo ai freni e sei in aria. Semplice no, che ce vò? “Ce vo che devi da corre, ce vo che la vela a da salì bè sulla testa, ce vo che devi corre ‘ritto, ce vo che nen devi da pizzicà li freni come nu cretino, ce vo che nen devi corregge la vela quella a da salì ritta senno t’a da fermà, ce vo che devi corre finchè non stai pe l’aria…” ce vo… ce vo che fa tutte ste cose insieme ‘né facile, uno ce se ‘nciampa e fa fischi pè fiaschi! E poi… diciamolo… la colpa è dello Sky 100 che pesa 5 kg di più degli altri :-PPP


Fiaschi! I miei decolli a Nettuno sono stati tutti dei fiaschi! Non voglio cospargermi di cenere ardente la testa (anche perché non avrebbe di che bruciare), ma è stato cosi: sarà colpa dell’emozione ma in fase di decollo non c’ho capito na mazza per tutto il giorno e ho sbagliato tutti i decolli!
Il vento soffia costante quando ci danno l’ok per decollare. Il vento si mette da nord e io mi ritrovo primo della fila: sollevo la vela, mi giro, corro, gas, stacco i piedi da terra, ma pendolo e torno a terra. MER##!!!!!! Primo decollo sbagliato! Torno faticosamente indietro aiutato da uno dell’organizzazione, e mi preparo per ridecollare. Il vento si mantiene costante quando provo a decollare: sollevo la vela ma mentre corro questa pendola nuovamente e decido di fermarmi. Il morale finisce sottoterra, mentre per la seconda volta torno indietro. La stanchezza e lo sconforto mi assalgono, fatico a capacitami di questi errori. Sbaglio altri due decolli e decido di fermarmi. Non era cosi che avevo immaginato questa giornata! Non pensavo di andare cosi male in decollo, continuo a non capire cosa sto sbagliando. E’ dura vedere tutti i volatori in aria e rassegnarsi a rimanere a terra… brucia, come tutte le sconfitte! Penso al film che mi ero fatto di questa giornata, ai panorami che sono li a pochi km e che io non sto vedendo, a tutte le emozioni che questi mi avrebbero trasmesso… e si, penso anche al report epico che avrei voluto scrivere che si sta trasformando nel racconto di una piccola Waterloo “…ma i successi si costruiscono dalle sconfitte, se non oggi mi rifarò più avanti! Però anche solo per un minuto i piedi in aria devo metterceli”. Paolo mi avvisa che lassù si balla la tarantella, e decide di tornare a terra. È passata quasi un’ora dal mio primo tentativo di decollo, quando mi armo di molto coraggio (testardaggine ndr) e ci riprovo: sollevo la vela corro ma… niente, abortisco anche questo, accidenti, oggi non è giornata!
Riprovo con una ostinazione che solo io ho, corro per diversi metri e faticosamente mi alzo in aria, ma la vela non ne vuol sapere di prendere quota. Vedo le serre appena fuori il decollo avvicinarsi, freno la vela fin quasi allo stallo e dopo poco becco una bella termica che mi spara in alto. E’ una situazione non facile, le raffiche fanno andare la vela su e giù come solo sulle montagne russe succede, e si avanza a fatica. Da terra mi consigliano di atterrare subito, e per la prima volta da quando volo, non me lo faccio ripetere due volte e mi fiondo a terra.


Il pranzo è l’occasione per parlare con vecchi e nuovi amici e ma l’occhio è rivolto fuori, alla manica a vento, con la speranza di rifarsi di una giornata avara di soddisfazioni. Eolo impietosito di fronte a tanta passione per il volo, molla la presa e ci lascia quella bavetta necessaria a decollare serenamente. Ma io continuo a non essere in giornata e solo al secondo tentativo riesco a staccare i piedi da terra:”stavolta non mi ferma più nessuno!” Mi piazzo a quota di sicurezza e mi guardo intorno cercando dei punti di riferimento (non si sa mai) e dei possibili atterraggi di emergenza, poi via verso nord seguendo gli altri volatori. 


Il viaggiatore che è in me prende possesso dei comandi, cerca qualsiasi cosa possa regalargli qualche emozione, come un tornado punta dei possibili obiettivi ma si limita a seguire il gruppo in attesa di futuri sviluppi. Enrico che come sempre vola alla quota necessaria per raccogliere le margherite, è li sotto di me e sta seguendo a sua volta il gruppo ma poi sparisce:”Boh, avrà visto qualche orchidea e avrà pensato bene di raccoglierla per portarla a quella santa donna di sua moglie…” penso tra me e me. I miei tre compagni di giornata avanzano sicuri verso nord, mentre il sole pian piano fa capolino nel mare. Io li seguo come un bambino dell’asilo, intimorito ma al tempo stesso meravigliato. Qualche prato, alcuni boschi, molte serre, diversi vigneti, il mare a pochi km… la voglia di arrivarci c’è eccome, ma dopo una giornata come questa non me la sento di rischiare. Decido di accontentarmi e mentre gli altri continuano ad avanzare verso nord, faccio dietrofront, seguendo i riferimenti presi in precedenza. Il sole tocca il mare esplodendo in mille sfumature, sfumature che vanno dal rosso accesso fino all’arancio, sfumature che solo in minima parte finiscono nell’obiettivo della mia Canon, sfumature che comunque mi regalano qualche foto decente, sfumature che finiscono per catalizzare la mia attenzione facendomi dimenticare tutto il resto, persino i miei compagni di avventura che in pochi secondi mi raggiungono e subito atterrano. Io? Io no, io non ci penso affatto ad atterrare, io mi godo gli ultimi sprazzi di sole, avessi la crema solare me la spalmerei in faccia e mi metterei a prendere il sole, per aria ovviamente, perché volare è un po’ come andare in spiaggia, è rilassante, giuro!
Mi guardo intorno e mi accorgo di essere l’ultimo rimasto per aria:”ma va?”. Quando mi sembra di vedere Enrico imbracciare un M29 Rocket Launcher meglio noto come “Bazooka”, decido che è il caso di atterrare onde evitare spiacevoli conseguenze :-)))) Atterro piuttosto indietro ma bene, poi con la vela sollevata corro fino a pochi metri dai miei amici:”ma perché in atterraggio lo fai e in decollo no?” chiede subito Enrico “bella domanda, perché sono un pirla!”
Mané


Le foto le trovate qui 
http://picasaweb.google.com/manetransalp1/ParamotoreVoloANettuno#

Lettera ai volatori

sabato 6 marzo 2010

Ciao, mi chiamo Alessio, e ho un giorno.
Sono il frutto dell'amore di due persone molto speciali che si chiamano Sara e Lorenzo.

Scrivo qui su consiglio di mio zio Manè per chiedere qualche consiglio e qualche informazione su un oggetto chiamato "parapendio".
Vedete, fino a qualche giorno fa, quando sonnecchiavo nella pancia della mia mamma, sentivo parlare i miei di una strada "cosa" strana ma bella (a mio padre vibrava la voce dall'emozione quando la pronunciava, mia madre invece la pronunciava con tono preoccupato) chiamata parapendio, di un luogo incantato chiamato Castelluccio, e quel matto di mio zio Manè dopo manco dodici ore dalla mia nascita parlava già di un'altro aggeggio strano chiamato Trike.

Ora, io non ci capisco nulla di tutto queste parole strane e al momento, detto in tutta sincerità, ho altro a cui pensare.
Ma se poco poco conosco i miei, sono sicuro che appena sarà possibile mi accompagneranno a Castelluccio ad annusare il profumo dei fiori, ad ammirare le sfumature della piana, ad asservare a bocca aperta il sole tramontare...
Cosi come sono sicuro che mio padre e quel malefico di mio zio se ne andranno con quel coso... come si chiama... ah si parapendio, con grande rabbia e paura di mia madre!

A presto
Alessio