questo accorato appello-verità
Lunedì 6 Aprile 2009 alle 3.32, un terremoto di inaudita violenza ha
devastato la città dell'Aquila e decine di borghi della fascia
pedemontana meridionale del Gran Sasso d'Italia, ha ucciso 300 persone,
ne ha ferito 1.500 e per oltre 65.000 ha reso necessario il ricorso a
alloggi di fortuna. Il Terremoto dell'Aquila, che fin dal 13 Dicembre è
stato preceduto da centinaia di scosse minori, ha causato la più vasta e
radicale distruzione di un'importante città antica dopo quella del
Terremoto di Lisbona risalente al 1755.
Sono questi i termini in cui la notizia avrebbe dovuto fare
correttamente il giro del mondo, affinché la tragedia verificatasi
potesse trovare un'appropriata rappresentazione nonché il presupposto
per un suo adeguato risarcimento materiale. Le cose, invece, sono andate
diversamente e il terrificante colpo inferto il 6 Aprile da Madre Terra
è diventato quasi niente rispetto alle catastrofi successivamente
provocate da inettitudine, incompetenza, cinismo e cupidigia di pubblici
reggitori, mass-media e registi del più spregiudicato affarismo.
La prima catastrofe, sotto l'apparenza di una stupida sottigliezza,
scaturisce da un dirompente sovvertimento della realtà. "Terremoto
dell'Abruzzo" si è messo a credere, invece di "Terremoto dell'Aquila":
un flusso di disinformazione miope e irresponsabile che, mirando ai
vantaggi ricavabili da una futura gestione clientelare a pioggia dei
fondi per la ricostruzione, ha minimizzato la portata degli atroci danni
subiti dall'Aquila e ha duramente danneggiato le migliaia di
imprenditori e lavoratori di quell'industria turistica che costituisce
la spina dorsale dell'intera economia abruzzese.
Vaste distruzioni e tante vittime nelle frazioni e nei comuni intorno
all'Aquila: le vite perdute e le sofferenze passate presenti e future
sono irreparabili, ma case, stalle, opifici e botteghe si possono rifare.
Quella subita dal centro storico dell'Aquila, invece, è un'irreparabile
ferita mortale.
All'Aquila, quanto non è crollato il 6 Aprile seguita a rovinare a terra
per effetto delle forti scosse che ogni giorno ancora vanno
susseguendosi, quel che non è ridotto in macerie appare lesionato e
squarciato senza speranza di risanamento, tutte le attività
istituzionali, economiche, culturali e di semplice vita quotidiana sono
estinte.
Nessuno può più abitare e lavorare lì, dove ogni muro che sta in piedi
minaccia di afflosciarsi da un momento all'altro, dove regna il funebre
silenzio dell'immobilità, dove stagna il fetore asfissiante emanato
dalle derrate marcescenti sepolte sotto quelli che furono ristoranti,
bar, pubs, pizzerie, trattorie, pasticcerie, panetterie, macellerie,
pescherie, drogherie, vinerie, salsamenterie, caffetterie e case.
Trecento ettari di città antica, uno dei più pregiati e più vivacemente
vissuti centri storici d'Europa, fatto di straordinari pezzi unici (come
le mura urbiche fortificate, le chiese, i palazzi, le torri e le
fontane) nonché di un lussureggiante campionario di architetture minori
medioevali, rinascimentali, barocche e neoclassiche, tutto questo è
adesso un immenso cimitero, disabitato, muto, polveroso, reso
inaccessibile dalla vigilanza che l'Esercito prudentemente assicura 24
ore su 24 presso ogni via d'accesso.
Non c'è un solo precedente nella storia d'Italia della necessità di
sigillare un'intera città. Non era accaduto a Messina nel 1908, tanto
meno dopo i più recenti disastri del Friuli, dell'Irpinia, delle Marche
e dell'Umbria. Invece, all'Aquila accade dal 6 Aprile.
Ho parlato con molti ufficiali dell'impareggiabile corpo dei Vigili del
Fuoco provenienti da diverse parti d'Italia: tutti, dicono di non
essersi mai trovati in mezzo a una catastrofe altrettanto
raccapricciante, né in Friuli, né in Umbria, né altrove.
Col chiamarlo "dell'Abruzzo", non solo si è predisposto il terreno per
le prossime manovre clientelari ma si è voluto minimizzare l'entità del
"Terremoto dell'Aquila" e edulcorarne la gravità: un sisma distribuito
su un'area vasta suscita minori apprensioni e facilita lo Stato nel far
beneficenza piuttosto che giustizia.
Ma, non bastava.
Le informazioni sulle rilevazioni dei sismografi sono state fin da
subito manipolate per accreditare una magnitudo inferiore a quella
effettiva. Nel sito internet del Geological Survey del governo degli
Stati Uniti, chiunque può leggere che il terremoto del 6 Aprile è
stimato in gradi 6.3 della Scala Richter e che la fonte
dell'informazione è l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Quest'ultimo, invece, nel suo sito indica la magnitudo in 5.8.
Nasce così la cinica opera architettata contro gli aquilani e contro gli
altri abruzzesi, perché un sisma di grado inferiore al 6 viene
considerato al di sotto dei livelli di notevole gravità e dunque
aiuterebbe l'erario a sottrarsi al dovere di finanziare integralmente la
ricostruzione degli edifici pubblici come di quelli privati, il che è
invece puntualmente avvenuto per il Friuli e per l'Umbria.
Per rafforzare questa cinica azione, è stata colta come cacio sui
maccheroni l'opportunità di far passare per lazzaroni tutti gli
aquilani, bollandoli come edificatori di una "città di carta". Ottimi
pretesti sono stati quelli offerti dai crolli della Casa dello Studente
e dell'Ospedale San Salvatore, edifici nei quali s'è effettivamente
dispiegata alla grande l'arte criminale di imprenditori, tecnici e
collaudatori.
Tuttavia, pur in presenza di numerosi altri casi di non dissimile
sostanza delinquenziale, la generalizzazione è inammissibile, quanto lo
è il sostenere che tutti i siciliani sono mafiosi.
In realtà, non c'è niente di disonesto nella gran parte delle migliaia
di edifici costruiti all'Aquila nell'arco di quasi otto secoli. In
realtà, è il terremoto del 6 Aprile che ha agito con inaudita violenza,
sebbene questa verità venga nascosta e negata affinché tutti i Ponzio
Pilato di turno possano allegramente lavarsi le mani nell'abbandonare
L'Aquila e gli aquilani al loro destino di morte.
Casi-simbolo dell'effettivo stato delle cose avrebbero dovuto essere
quelli che invece sono stati accuratamente oscurati: il Forte Spagnolo e
l'Hotel Duca degli Abruzzi. La fortezza era una macchina architettonica
di rara perfezione, massiccia come una montagna, che per mezzo millennio
aveva resistito indenne a qualsiasi aggressione, umana e naturale, ivi
compreso il terremoto dal quale la città era stata distrutta nel 1703.
L'albergo era stato costruito al di sopra d'ogni sospetto di ladrocinio:
fatto negli anni Settanta non su commissione di terzi ma quale duraturo
investimento in proprio da parte di una dinastia di costruttori
d'inviolata reputazione internazionale. Orribilmente sconquassato il
primo, sventrato come un pollastro il secondo. Bisognava documentare e
documentarsi, bisognava porsi domande e cercare risposte, di fronte a
questi casi che solo un'inusitata violenza sismica può spiegare.
Invece, è stato assai più comodo versare e indurre lacrime rassicuranti
facendo folklore dei poveri morti sepolti sotto le macerie e della
dignitosa sofferenza dei sopravvissuti. Molto comodo: compiangere i
morti, predicare solidarietà, invocare coraggio, auspicare rinascita,
promettere di tutto e di più, spandere baci e abbracci e poi procedere
serenamente verso il prossimo party all'ambasciata di Chissadove.
Dopo il disastro del 1703, i reggitori del Comune alzarono baracche
davanti il municipio distrutto e lì seguitarono a lavorare tra e per i
concittadini, respinsero senza se e senza ma la pretesa del governo
centrale (che allora abitava a Napoli) di trasferire baracca e burattini
in una "new town" e avviarono immediatamente la ricostruzione, chiamando
fior di architetti e capimastri da Roma e da Napoli per restaurare il
salvabile e fare ex novo, senza stravolgere la struttura urbana antica,
tutto ciò che non riusciva a stare in piedi.
Oggi, ormai a un mese da quella tragica notte, tutto tace. 35.000
persone sopravvivono nelle tendopoli senza la minima idea di dove
approderanno al prossimo profilarsi del gelido inverno aquilano. 30.000
persone coltivano l'illusione di un'eterna vacanza negli alberghi della
riviera che stanno per metterle alla porta. Ovunque, il cibo e il
vestiario messi a disposizione incessantemente e con estrema larghezza
spandono la suggestione di un'affettuosa e sempiterna sollecitudine
governativa.
Ci sono tanti edifici scolastici perfettamente agibili, ma bambini e
ragazzi vengono obbligati all'alienante solitudine offerta da tendopoli
e alberghi. Giganteschi complessi del tutto sicuri, come la Scuola della
Guardia di Finanza, la Scuola Reiss Romoli, la Caserma Rossi, la Caserma
Pasquali, etc., potrebbero accogliere le strutture universitarie e
ospedaliere che sono l'unica certezza di futuro e che invece vengono
smembrate e dirottate verso città da cui mai faranno ritorno.
Il governo partorisce il decreto-legge n. 39 che racconta
un'incomprensibile favola di aiuti, provvidenze, benefici, esenzioni e
quant'altro, concessi non si sa a chi, finanziati non si sa con cosa,
acquisibili non si sa come.
Uniche certezze: i quattro soldi messi veramente in campo verranno
spremuti dai bilanci dello Stato col contagocce, da qui fino al 2032 e
verranno manovrati dalle banche e da fantomatiche spa gravitanti intorno
al Ministero del Tesoro.
Insomma, i terremotati verranno spinti a indebitarsi per ricostruire le
case e, una volta impossibilitati a pagare i mutui, perderanno le
proprietà. Nel frattempo, la città sarà diventata una nuova attrazione
turistica: gli spot della tv diranno "Visitate la più grande città morta
del mondo".
Hanno costretto i Vigili del Fuoco a uno spettacolare salvataggio di
quattro barattoli d'ottone spacciati per "Tesoro della Cattedrale", ma
nessuno ha mosso un dito per tirar fuori dalle macerie le centinaia di
migliaia di libri e documenti che nella Biblioteca Provinciale e
nell'Archivio di Stato assicuravano la memoria, l'identità e la civica
dignità della città che non c'è più.
Fosse stato il "Terremoto dell'Aquila", le tv e gli inviati piovuti da
ogni dove nei primi giorni del terremoto avrebbero impressionato il
mondo intero e probabilmente avrebbero fatto affluire quegli enormi
aiuti necessari per rifare una città come L'Aquila. Nel prossimo futuro,
forse un po' di chiese e palazzi verranno restaurati: solitari, essi si
staglieranno come fantasmi tra le rovine di una città che non c'è più.
Errico Centofanti
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Errico Centofanti, giornalista e scrittore, è stato uno dei fondatori
del Teatro Stabile dell'Aquila, che poi ha diretto per vent'anni. Autore
di numerosi libri di ambientazione storico-letteraria, è stato direttore
artistico dei festivals "Urbino Rinascimenti", "Castel dei Mondi" di
Andria e "Le Stelle della Grangia" dell'Abbazia di Fossanova nonché del
settore spettacolo per il Settembre Dantesco di Ravenna. Negli anni
Settanta è stato consigliere e assessore al Comune dell'Aquila
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