I 3000 della MAG

giovedì 28 giugno 2012


Salendo verso la vetta

"Dicono che scalare una montagna sia difficile, ma è quando ti ritrovi in cima ad una vetta con il mondo ai tuoi piedi che capisci che la vera difficoltà è doversi separare da tutto questo!" Mané

Ci riuscirò lo prometto, un giorno riuscirò a scrivere un racconto di una giornata passata come i comuni mortali, tra centri commerciali e spiagge affollate, scriverò di una giornata che tutti posso vivere senza essere necessariamente dei pazzi o dei sognatori incalliti, ve lo prometto!
Intanto però vi tocca sorbirvi l'ennesimo racconto di un'esperienza un po' fuori dalle righe, fuori dal comune, fuori dalla massa, fuori come me. 

pronti per questa nuova avventura?

Indossate zaino e scarponi: oggi si va in montagna, e che montagna!

Protagonisti di questa nuova avventura sono i colleghi della MAG, quelli di cui non vi parlo mai quasi appartenessero ad una vita parallela, quelli che non bazzico mai, quelli che semplicemente non conoscono, se non di riflesso, il Mané viaggiatore, il Mané narratore, il Mané sognatore.

Prima di iniziare questo racconto facciamo una doverosa premessa: come nella miglior tradizione fantozziana, anche alla MAG c'è il “ragionier Filini” di turno che, di tanto in tanto, pensa bene di organizzare attività ricreative di vario genere, con risultati non sempre... Il fatto è che alla MAG possiamo dire di saper far bene componenti per elicotteri, li sappiamo revisionare, possiamo vantarci di appartenere ad una azienda che ha costruito ed assemblato elicotteri che tutt'ora volano nei cieli di mezza Europa senza il benché minimo problema ma... ammettiamolo dai, l'organizzazione di scampagnate non è proprio il nostro forte!
Ora: qualunque persona con un minimo di sale in zucca prenderebbe le distanze da simili iniziative o, piuttosto, si inventerebbe qualche pezzo astruso da costruire in tutta fretta il giorno del nefasto evento pur di giustificare una ingloriosa defezione, io invece...

Sabato ventitré giugno all'appuntamento a Prati di Tivo, di centocinquanta dipendenti ci presentiamo in quindici; a guidare l'allegra compagnia c'è ovviamente il ragioner Filini di turno, seguito a breve distanza da un non meglio equipaggiato stuolo di colleghi. Già, l'equipaggiamento, ne volgiamo parlare? Vogliamo parlare delle scarpe di...? E del cappello di...? Meglio di no, dai, che i bambini ci leggono!

La nuvoletta dell'impiegato lascia spazio ad un sole cocente, di quelli che ti picchia in testa con l'intensità di un martello pneumatico, di quelli capaci di metterti al tappeto con un sol colpo, di quelli che se non stai attento finisci dritto dritto in ospedale. Arriviamo a quota 2000 metri con la funivia e subito mi avvio con alcuni colleghi su per un sentiero contornato qua e là da qualche fiorellino giallo e viola. La vetta è lassù, mille metri di roccia sopra di me: la osservo speranzoso con la testa brulicante di dubbi e paure, con la testa di chi vuole arrivare in cima, con la rabbia e la tenacia di chi le montagne le ha sfidate sin dalla prima infanzia. Alessandro parte, seguito a ruota da Riccardo e Pacì, pochi metri e capisco di essere in difficoltà, per fortuna le soste sono frequenti e ho il tempo di recuperare, ma è dura, faticosamente dura. Attraversiamo un tratto caratterizzato da rocce imponenti trascinate a valle da antichi ghiacciai di cui non rimane alcuna traccia, un tratto dove la montagna si mostra nel suo aspetto può rude e violento, un posto che mi riporta con il pensiero alle sconfinate e spassose pietraie dell'Akakus in Libia o della F88 in Islanda.

sognando le pietraie libiche
Il primo tratto impegnativo di questa giornata si presenta sotto forma di un tratto scosceso con una corda di acciaio a cui aggrapparsi: niente di particolarmente impegnativo, per carità, ma il burrone sottostante…mamma che paura! 

passaggio impegnativo
Continuiamo la nostra ascesa e mentre sono impegnato a far foto uno spostamento d'aria, come un treno a tutta velocità, rischia di scaraventarmi a terra: mi volto e vedo una rara specie di stambecco; trattasi di un raro stambeccus Ingegnericus, del tipo Valentinus, che sta salendo a tutta birra al rifugio. 

un raro stambeccus Ingegnericus, del tipo Valentinus

“Pensavo fossero estinti!” penso tra me e me mentre faticosamente riprendo il mio cammino verso il rifugio Franchetti. Il sentiero in questa zona si presenta largo e ben tracciato, non presenta difficoltà oggettive, ma è lungo, a tratti ripido e la fatica ben presto inizia a farsi sentire. I miei amici salgono agevolmente mentre io, con la scusa di far foto, mi attardo cercando di trovare il mio ritmo. Le imponenti rocce del Corno Piccolo, con le loro sfumature rosate, ci scortano per una buona mezz'ora fino a quando, come un'oasi nel deserto, ci appare lui, il rifugio Franchetti. Lo stambeccus Ingegnericus Valentinus è già li, fresco come fosse uscito da una doccia, riposato come se avesse dormito fino a mezzogiorno: lo saluto a mezza bocca invidioso del suo stato di forma e mangio un panino mai cosi amaro! Scambio poche parole, ma il mio pensiero è seicento metri più in alto, sulla vetta del Gran Sasso. Di solito sono logorroico ma stavolta no, finisco il mio panino, cambio la maglietta e mi avvio verso la vetta senza manco sapere quale sia la strada da prendere. Poco possono le richieste del mio collega di aspettare gli altri: ho deciso di andare e non voglio perdere tempo, piuttosto aspetterò il gruppo a metà salita in un posto dove potrò far delle belle foto. Alessandro e il mitico Pacì decidono di far strada con me, inconsapevoli di quello che li aspetterà di lì a breve. Saliamo con un buon ritmo, superiamo agevolmente una lingua di neve che taglia in due il sentiero e al primo bivio proseguiamo dritti verso il Corno Piccolo.

il lago di Campotosto e sulla destra il Corno Piccolo
Feeeeeeeermi tutti, guai a chi si muove: ma non dovevamo andare al Corno Grande, la vetta del Gran Sasso? Ovviamente si, ma chi stava davanti ha pensato bene di tirar dritto infischiandosene delle indicazioni a terra :-(

Le premesse per prendere e tornarsene a casa dalla mammina ci sono tutte, ma che ci volete fare: sono un sognatore, mica un saggio ed è per questo che decido di continuare nonostante le avvisaglie.
La montagna inizia a scoprire le sue migliori carte, regalandoci un suggestivo scorcio sul Corno Piccolo ed una incantevole veduta sui monti della Laga. Sbagliamo strada per l'ennesima volta e ci ritroviamo a scendere con le mani e con i piedi giù per una roccia non proprio pianeggiante.

Pacì, dall'alto delle sue tre volte sulla cima del Gran Sasso, continua a guidare il gruppo, mentre la roccia lascia spazio ad un pietrisco infimo e pericoloso e il sentiero si addolcisce leggermente. Dura poco, alcuni metri e ci ritroviamo di fronte una roccia ripida con tanto di corda di acciaio. Pacì sale come una gazzella, seguito da un Alessandro un po' titubante e da un Mané mai paco di foto...

cordata

Passano alcuni minuti prima che io sazi la mia sete di foto, abbastanza perché arrivi in cima mi ritrovi da solo con Alessandro: lì per lì nemmeno ce ne accorgiamo, convinti che il nostro amico abbia seguito il sentiero (tanto per usare un eufemismo) che corre verso est. Pochi minuti di percorso non proprio facile e ci ritroviamo in un punto morto. Chiedo informazioni a degli escursionisti più a valle ma non sanno indicarmi con chiarezza la strada da seguire, inoltre Alessandro ha rischiato di scivolare aggrappandosi ad una roccia staccata e non se la sente di provare: torniamo indietro. Vedo alcuni colleghi più a valle e riprendo coraggio, ma di Pacì nessuna traccia. Inizio ad aver paura che gli sia successo qualcosa, provo a chiamarlo, niente: “Fosse caduto avrei sentito la botta” penso tra me e me, ma allora dov'è? Torniamo alla cordata ed incontriamo degli escursionisti di Napoli che ci indicano la strada giusta per la vetta, ma Alessandro decide di mollare e in breve raggiunge gli altri colleghi.

si va di là!

E io? No, scordatevelo, IO NON MOLLO! Non sono un eroe, sono solo un coccione ostinato e testardo che quando si mette in testa una cosa, la ottiene punto. Spinto più dalla testardaggine che dalla forza fisica, chiedo di potermi aggregare ai due escursionisti di Napoli ed in breve mi ritrovo a salire verso la vetta con delle persone che nemmeno conosco. La fatica continua a farla da padrone mentre i miei pensieri si muovono caoticamente come delle lucciole nelle notti di primavera: “Per l'ennesima volta sono in viaggio con persone che nemmeno conosco” - penso tra me e me - “ormai è diventata una costante dei miei viaggi: partire con sconosciuti e condividere con loro, intensi momenti della mia vita... è la storia della mia vita!”

Sono oltre due ore e mezzo che sto camminando senza una meta apparente, solo dei sentieri evanescenti, alternati a tratti di roccia e dei non meglio identificati segnali a terra che indicano la strada da seguire. La fatica inizia a farla da padrone, mentre i miei occhi stanchi hanno smesso di osservare il panorama circostante e cercano disperatamente una sola cosa: la fine di questa sofferenza! Da veri partenopei, i miei compagni di ventura mi incoraggiano segnalandomi i tratti più impegnativi, indicandomi i luoghi più caratteristi di queste montagne e facendomi dimenticare la vera compagna di questa avventura: la fatica.

compagni di ventura
Dopo oltre tre ore di cammino e svariati inconvenienti di percorso, finalmente poggio il piede sulla cima più alta degli Appennini e nello stesso istante una scarica attraversa il mio corpo da cima a fondo facendomi urlare: è fatta, ce l'ho fatta, di nuovo, senza se e senza ma, di nuovo sul tetto del mio mondo, sopra le nuvole e sopra i miei sogni, sopra ogni difficoltà! Lentamente provo a capacitarmi di quanto fatto, mentre da dietro un cucuzzolo appare il mio amici Pacì fresco come una rosa: “fiuuu, meno male, avevo paura gli fosse successo qualcosa!”. La stanchezza mi assale di colpo, mi siedo in trance su una roccia quando, come per magia da dietro una roccia vedo apparire un angelo moro con una dotazione di primo livello. “Sono in paradiso finalmente - penso tra me e me - sono qui portami con te!!!” sono lì per lì per dirglielo quando, come un fulmine a ciel sereno, appare lui: lo stambeccus Ingegnericus Valentinus. “Ma come Gesù, pure lui qui? In paradiso? Ammazza quanto è mal frequentato sto posto... e io che pensavo che ci fossero solo angeli con paraurti maggiorati... no, non si fa cosi!” 

un ingegnere in paradiso? No era solo un sogno...
Per un attimo ritrovo il lume della ragione e mi ritrovo seduto su una pietra con in mano un'ottima salsiccia di cinghiale gentilmente da Emiliano (l'ingegnere ndr), alcuni amici esultanti (a tremila metri non si è più colleghi) e un paesaggio sconfinato e multicolore ai miei piedi!

panorama dalla vetta

Con il magone e i muscoli ridotti a gelatina, mi incammino verso valle seguito dall’allegra compagnia della MAG. Se la salita era stata a tratti tecnica, la discesa lo è ancor di più ed il fondo duro con sopra del pietrisco si rivela davvero infimo e pericoloso! Per fortuna ce la caviamo con un paio di innocue scivolate ed una pietra vagante che miracolosamente non ferisce nessuno!
Ancora pochi metri e siamo di nuovo al Franchetti dove ci ricongiungiamo al resto del gruppo. Foto ricordo sotto la bandiera italiana 

il gruppo della MAG

e una foto all'angolo dei morti (le birre):

l'angolo dei morti
è stata una giornata da ricordare!

Grazie a Sante Piermarini “ragionier Filini” per un giorno: grazie per l'insistenza e la tenacia con cui ha organizzato questa bella giornata e grazie per aver spudoratamente mentito sulle difficoltà di questa escursione!

Sante Piermarini “ragionier Filini” per un giorno

Ciao

Mané

alcune foto della giornata




















2 commenti:

Anonimo ha detto...

... il mio sincero grazie per il bel ricordo dedicatoCi da un Compagno di viaggio ... Ad maiora Amico mio!!!
Angelo DE ROSA

Unknown ha detto...

grazie a voi per l'accoglienza. Se sono arrivato in vetta lo devo a voi
Mané

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