I lupi di Collefalciano

sabato 25 agosto 2012

 "La nebbia invase il bosco di faggi rendendo ancora più tetro questo luogo avvolto nel silenzio più assoluto quando all'improvviso apparvero due strane figure: erano due lupi!
Uno, il più giovane aveva un volto scuro e gli occhi arsi dalla voglia di scoprire il mondo, l'altro il più anziano, aveva un pelo folto ed il viso segnato dalle mille lotte. Li videro perlustrare in lungo ed in largo il bosco in cerca di un passaggio a nord ovest per poi sparire fagocitati da una selva oscura... non se ne seppe più nulla!” Mané


E’ una calda ed assolata domenica di agosto quando dopo mesi e mesi, decido di risalire in sella al DRZ. E’ una gran moto il drz: veloce, potente, affidabile, leggera quanto basta per ficcarsi serenamente nei sentieri, ma tra noi non è mai stato amore vero e cosi da mesi è lì che sonnecchia nel garage dei miei a Collefalciano. Ma è un sonno leggero, in realtà è sempre li pronta a risvegliarsi alla prima carezza data al pulsante dello start, pronta a portarti ovunque tu voglia, ovunque arrivino i tuoi sogni :-).

La moto c’è, cos’altro manca per un’uscita coi fiocchi? Un amico, un compagno, qualcuno che come me abbia nella testa il germe dell’esplorazione, qualcuno che conosca bene il proprio territorio, ci vorrebbe un lupo, perché no? Il compagno di questa nuova avventura si chiama Lorenzo ed è mio fratello. Non è un fuoristradista incallito come me, ma conosce benissimo il territorio e in sella al suo dr350 fa cose di tutto rispetto. E' uno di poche parole ma adora andare per fossi e non si tira mai indietro di fronte alle difficoltà; da bravo lupo, conosce molto bene l'Appennino ed è sempre alla ricerca di nuovi percorsi: le premesse per un buon giro ci sono tutte, vediamo se saranno all’altezza.

Da cosa nasce un’avventura? Come si fa a decidere di partire per una sfida? Qual è la molla che fa scattare la voglia di partire ed andare? Cos’è che vi spinge a partire ed andare? Ve lo siete mai chiesto?

E’ da tempo che mio fratello mi parlava di alcune vette dietro casa dei miei: me ne parlava con un tono incuriosito ma eccitato, aveva visto qualcosa ma non gli bastava, voleva vedere oltre… dovevamo andare!

Fu così che ci ritrovammo in una calda giornata di agosto nello sperduto paesello di Collefalciano con una meta e la testa brulicante di dubbi. Risvegliai il Drz accarezzando dolcemente il pulsante dello start e il suo rombo ruvido ruppe la quiete del paesello; il rombo del dr di mio fratello non si fece attendere, il tempo di far scaldare le moto e ci ritrovammo a correre verso l'antico paese di Agore. Da subito le montagne si mostrarono nella loro imponenza e la loro forza: ci stavano aspettando... non ci avrebbero fatto passare! Urlai a mio fratello di tornare indietro, c'erano tante belle strade da fare, meno ripide, meno pericolose, non aveva senso sfidare quelle grosse creste. Mi rivolse un'occhiata furtiva prima di aprire violentemente il gas: non disse nulla ma vidi il suo volto trasformato, non era quello di mio fratello, del padre di famiglia, era il volto di un animale a caccia. All'inizio rimasi impietrito di fronte a quell'espressione, continuai a seguirlo da vicino mangiando quantità industriali di polvere, incredulo provai a cercare un contatto visivo per convincermi che stavo sbagliando senza riuscirci. Superammo Agore e ci inerpicammo su per una sterrata superando agevolmente alcuni tratti un po' ostici finché non caddi su un solco. Subito mio fratello mi venne in soccorso cosi potei finalmente osservarlo in volto e potei scambiarci due parole. Capii subito che c'era qualcosa di diverso nel suo modo di fare: si muoveva molto cautamente osservando minuziosamente l'ambiente circostante quasi non volesse essere visto, ma da chi? Eravamo soli in quella landa desolata dell'Appennino! Feci l'indifferente e continuai a parlargli come se nulla fosse successo, lo feci parlare a lungo per quanto mio fratello non sia proprio logorroico, pesai ogni singola parola cercando di capire le sue reali intenzioni.

Poi arrivò la frase che aspettavo:”Una volta sopra dobbiamo seguire il sentiero di destra quello che di solito percorrono i cervi, dobbiamo seguirlo fin dove si perdono le tracce degli animali e da li cercare ogni possibile pista...”

Osservai il suo volto corrucciato, il suo sguardo profondo e i suoi lunghi capelli sembravano i peli di un animale selvatico: era diventato un lupo e, come ogni lupo, si era messo in caccia!

Affiancai il capobranco e mi misi anch'io in caccia! Grosse nubi cariche di pioggia fecero la loro apparizione all'orizzonte, chiesi al capobranco se non fosse il caso di rientrare alla tana ma lui mi fece cenno di proseguire. Percorremmo alcune sterrate immerse in un rigoglioso bosco e poi spuntammo fuori in un bellissimo prato la cui vista spaziava dal Vettore al Gran Sasso d'Italia, per poi declinare fino al mare. Mi fermai estasiato, spensi la moto e mi lasciai fagocitare dal silenzio delle montagne, dal fruscio degli alberi e dal cinguettio degli uccelli. No, non poteva essere vero, non poteva esistere un luogo cosi bello, a pochi passi dal mio paesello. Mio fratello mi osservò compiaciuto, il bastardo sapeva che quel luogo mi sarebbe piaciuto, ma rimase seduto sulla moto pronto a ripartire, quasi distaccato. Lo osservai stupito ma quando, con un sorriso beffardo, mi disse di proseguire capii che c'era dell'altro, e cosi risalii in sella pronto ad emozionarmi e a carpire ogni singolo respiro di questo luogo. Attraversammo superbi prati, ci infilammo in selve oscure senza vederne l'ingresso e ne fummo sparati fuori come dei proiettili di una 44 magnum, percorremmo alcuni bellissimi boschi ricoperti di tronchi su cui le nostre moto letteralmente volavano, fummo pervasi da uno stato di euforia che nemmeno la miglior grappa sa darti, godemmo di panorami senza eguali finché il capobranco si fermò e scese dalla moto: qui le tracce finiscono nel nulla, ora bisogna mettersi a caccia. Il suo volto si fece di nuovo serio, i suoi occhi scuri, i suoi sensi perlustrarono in lungo ed in largo le colline circostanti cercando un passaggio. Ci addentrammo in una faggeta, perlustrammo palmo palmo il bosco alla ricerca di un possibile passaggio finché delle grosse nubi non invasero il buio del bosco rendendo tetro tutto l'ambiente circostante. Imperterriti continuammo la nostra caccia, incuranti della pioggia e della nebbia che stava limitando la visuale, incuranti del silenzio assordante del bosco immerso nella nebbia, un silenzio che ti entra dentro e ti trafigge il cuore.

Un raggio di sole trafisse la fitta nube, attraversò il buio del bosco e cadde per terra. Rimanemmo impietriti di fronte ad una visione cosi sconvolgente, provammo a capacitarci dello spettacolo che ci si stava parando di fronte ma l'unica cosa che potemmo fare fu quella di osservare in silenzio lo spettacolo che ci si stava parando di fronte.

Avevamo visto abbastanza, da quel momento nulla sarebbe rimasto come prima!
Percorremmo un sentiero che correva dolce sulla cresta di una montagna poi ci addentrammo in un altro bosco cercando nuovi terreni di caccia. Percorremmo una sterrata a velocità pazzesca, ma non fu la solita corsa forsennata, fu una sorta di danza ritmica, con traiettorie che si incrociavano e si allontanavano con un sincronismo ed una precisione degna di una gara delle olimpiadi, senza sbavature ed imperfezioni...

Quel giorno anche l'enduro è stato una cosa suggestiva...

Mané

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